Usiamo carità per i nemici
Quando Giuda si manifesta nel Getsemani, Nostro Signore contempla addolorato il tradimento dell’apostolo, che Gli dice «Ti saluto, o Maestro» (Mt 26, 49) e poi Lo bacia, dando il segnale concordato alla gente armata di bastoni e di spade. Il bacio viene accettato da Gesù, che gli rivolge queste parole: «Amico, a che sei venuto?» (Mt 26, 50).
Gesù usa delicatezza, carità, amore: chiama amico il Suo nemico, colui che Lo consegna ai Suoi carnefici. È il Suo estremo tentativo per indurre Giuda a recedere dal suo peccato. «Dio», commenta san Tommaso Moro in Gesù al Getsemani, l’ultima sua opera, scritta mentre si trovava in carcere, in attesa dell’esecuzione capitale, prima che gli venisse tolta la possibilità di scrivere «diede anche a Giuda molte opportunità di pentirsi. Non gli negò la propria amicizia. Non lo bandì dal collegio degli apostoli. Continuò ad affidargli la cassa pur sapendolo ladro. Nell’ultima Cena lo ammise nella cerchia dei più amati discepoli. Si degnò di chinarsi ai suoi piedi e di lavarli con le proprie mani sacre e purissime, detergendone la sporcizia, simbolo di quella che insudiciava la sua anima (…). E fino all’ultimo, quando egli venne con i soldati per arrestarlo, e gli diede il bacio che siglava il tradimento, lo accolse con pacata dolcezza».
Il Signore non vuole che Giuda si perda, come non vuole che nessuna anima si perda. L’Uomo-Dio si è sacrificato per questa ragione e usa misericordia per coloro che si pentono e giustizia per coloro che perseguono nel peccato.
Se Dio si dimostra instancabile nella Sua misericordia anche nei confronti di Giuda, che s’era mutato da apostolo a traditore; se lo richiama tante volte al perdono; se fa di tutto perché non si perda – e si perde solo perché si abbandona alla disperazione – è certo che di nessun uomo al mondo, per quanto simile a Giuda nei suoi comportamenti, si deve mai disperare, pur nella ferma convinzione che se quell’uomo non si pentirà, pagherà le conseguenze terribili del suo agire.
Se Cristo in Persona ama in questo modo il Suo apostolo traditore, chi siamo noi per giudicare un altro uomo, seppure se questi fosse il Papa? Che diritto abbiamo noi a definire Bergoglio come il falso Papa, l’Antipapa, l’Anticristo, l’usurpatore? Gesù ci ha insegnato a distinguere tra l’errore e l’errante. Chi siamo noi per indicare che Bergoglio sia l’Anticristo?
Non sembri una questione marginale. È una questione centrale dell’essere cattolici: per ricevere misericordia da Dio, dobbiamo usare misericordia nei confronti dei nostri fratelli. Di tutti i nostri fratelli, anche dei più lontani da noi, di coloro che sbagliano e di cui sottolineiamo fermamente gli errori, di coloro che con dolore – come nel caso di Bergoglio – vediamo comportarsi come se la Parola di Dio non esistesse. Più ci allontaniamo da quest’insegnamento di Gesù, più ci allontaniamo da Lui e ci schieriamo dalla parte del Suo nemico.
È quello che sta avvenendo attraverso tesi arbitrarie, costruite a tavolino, che non contengono alcun indizio e tanto meno lo straccio di una prova. Questi autori di tesi fantasiose, che confondono e inquinano le menti di moltissime anime semplici, invece di demonizzare Bergoglio dovrebbero considerare che Dio lo attende per il suo pentimento fino all’ultimo istante della sua vita. Se fossero autenticamente cattolici e volessero davvero il bene della Chiesa, non si scatenerebbero contro coloro che partecipano a Sante Messe dove viene citato nel Canone il nome di Papa Francesco. Altro che salvare la Chiesa. Questo è il vero intento delle teorie della sede impedita e del piccolo resto: da un lato, non dire una sola parola sulle responsabilità ancora più gravi rispetto alla vita dei cattolici dei Papi che hanno preceduto Bergoglio, esaltandoli e sul Concilio Vaticano II, che ha prodotto una situazione anticristica e, dall’altro, massacrare gli una cum, che vogliono rimanere fedeli e dentro la Chiesa di Nostro Signore, senza rinunciare a denunciarne gli errori.
Della situazione in cui si trova la Chiesa – tradita da Bergoglio e dai suoi predecessori in nome del Modernismo – Nostro Signore ha certamente compassione, come ebbe compassione della condizione disperata della vedova di Naim, che aveva perso il suo unico figlio. Gesù toccò la bara. «I portatori si fermarono ed egli esclamò: “Giovinetto, io ti dico, lèvati su!”. E il morto si levò a sedere e cominciò a parlare. Ed egli lo rese a sua madre» (Lu 7, 14-15).
Sant’Ambrogio vedeva nella figura di quella madre disperata la Santa Madre Chiesa, che viene soccorsa dal Suo fondatore. Non ci possono essere né ragionamenti né azioni umane che possano risollevare la Chiesa dalla condizione in cui si trova. Solo Dio sa perché sta sottoponendo i Suoi figli a questa prova terribile, che si può trasformare in Grazia se la viviamo abbandonandoci alla Sua volontà e solo Dio può intervenire per porre fine a questa prova.
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