La sete del possesso di Dio

Le anime che sono nel Purgatorio, attendono le nostre preghiere e i nostri suffragi, ma sanno che un giorno accederanno alla visione beatifica di Dio. I santi, nelle loro visioni, raccontano questo.
Si narra che un giorno santa Brigida di Svezia (1303-1373), religiosa e mistica svedese, fondatrice dell’Ordine del Santissimo Salvatore, ebbe una visione del Purgatorio e sentì la voce di un angelo che, consolando le anime, ripeteva queste parole: «Sia benedetto colui che, vivendo ancora sulla terra, soccorre con operazioni e buone opere le Anime Purganti, poiché la giustizia di Dio esige che senza l’aiuto dei viventi siano queste necessariamente purificate nel fuoco». E udì ancora altre voci che aggiungevano: «Grazie siano rese a coloro che ci apportano sollievo nelle nostre sventure; la vostra potenza è infinita, o Signore: renda il centuplo ai nostri benefattori, che ci inducono più presto nel soggiorno della vostra luce divina».
Santa Caterina da Siena, che ricevette le stimmate come segno della sua perfetta identificazione con il Crocifisso, riferisce la descrizione fattale da Gesù riguardo al Purgatorio: «E se ti volgi al Purgatorio troverai ivi la mia dolce e inestimabile Provvidenza verso quelle anime tapinelle che totalmente perderono in tempo, ed essendo ora separate dal corpo non hanno più il tempo per poter meritare. A loro io ho provveduto per mezzo vostro, di voi che siete ancora nella vita mortale e avete il tempo per loro e, mediante le elemosine e l’ufficio divino che fate dire ai miei ministeri, insieme ai digiuni e alle orazioni fatte in stato di grazia, potete abbreviare loro il tempo della pena, confidando nella mia misericordia».
San Filippo Neri (1515-1595)[1] aveva una devozione tenerissima per le anime del Purgatorio. La sua inclinazione lo portava soprattutto a pregare per quelle di cui aveva diretto la coscienza. Si credeva più obbligato verso di esse, perché la Provvidenza le aveva particolarmente a lui affidate. A suo modo di vedere, la sua carità doveva seguirle fino alla loro intera purificazione ed alla loro entrata nella gloria. Assicurava ugualmente che per loro mezzo aveva ricevuto molte grazie. Dopo la sua morte, un padre francescano pregava nella cappella ov’erano stati deposti i venerati suoi avanzi, quando gli apparve il santo, circondato di gloria, in mezzo ad un brillante corteggio. Il religioso, guadagnato dall’aria di bontà e familiarità con la quale il santo lo guardava, gli domandò chi erano quei numerosi beati che lo circondavano. Gli rispose il santo, essere le anime di quelli ai quali era stato utile nella mortale sua vita, e che coi suoi suffragi aveva liberati dal Purgatorio. Aggiunse che erano venute ad incontrarlo al suo uscire dal mondo, per introdurlo alla loro volta nella celeste Gerusalemme.
San Francesco di Sales insegnava sul Purgatorio[2]: 1. Le anime vivono lì una continua unione con Dio. 2. Sono perfettamente conformate alla volontà di Dio. Vogliono solo quello che vuole Dio. Se venisse loro aperto il Paradiso, preferirebbero precipitarsi all’Inferno che presentarsi macchiate al cospetto di Dio. 3. Si purificano volontariamente, amorevolmente, perché Dio vuole così. 4. Vogliono rimanere nella forma gradita a Dio e per tutto il tempo che Egli vuole. 5. Sono invincibili nella prova e non possono avere neanche un moto d’impazienza o commettere qualsiasi imperfezione. 6. Amano più Dio di se stesse, con amore semplice, puro e disinteressato. 7. Sono consolate dagli angeli. 8. Sono certe della propria salvezza, con una speranza ineguagliabile. 9. Le loro amarezze sono alleviate da una pace profonda. 10. Se il dolore che soffrono è infernale, la carità effonde nel loro cuore una tenerezza ineffabile – la carità che è più forte della morte e più potente dell’Inferno. 11. Il Purgatorio è uno stato felice, più desiderabile che temibile, perché le fiamme che esistono lì sono fiamme d’amore.
San Patrizio, al secolo Maewyin Succat (385-461) è stato un vescovo e missionario cristiano di origine britannica. Apparteneva ad una famiglia nobile romana. Rapito quando aveva sedici anni da pirati irlandesi, fu venduto come schiavo al re del North Dal Riada, nell’odierna Irlanda del Nord. Qui apprese la lingua gaelica e la religione celtica. Dopo sei anni, fuggì dalla corte del Re. Si imbarcò su una nave in partenza con il permesso del capitano e dopo tre giorni di navigazione sbarcò su una costa deserta della Gallia. Era la primavera del 407, l’equipaggio e lui camminarono per ventotto giorni durante i quali le scorte finirono, allora gli uomini che erano con lui gli chiesero di pregare il suo Dio per tutti loro; il giovane acconsentì e dopo un poco comparve un gruppo di maiali, con cui si sfamarono. I biografi non narrano come lasciò la Gallia e raggiunse i suoi in Britannia; ritornato in famiglia, Patrizio sognò che gli irlandesi lo chiamavano ed interpretò quel sogno come una vocazione all’apostolato fra quelle popolazioni.
Tornò sul continente presso il santo vescovo di Auxerre Germano (fine V sec.-576), per continuare gli studi, terminati i quali fu ordinato diacono; la sua aspirazione era di recarsi in Irlanda, ma i suoi superiori non erano convinti delle sue qualità perché poco colto. Nel 431, Celestino I (?-432) inviò in Irlanda il vescovo san Palladio (408-459), con l’incarico di organizzare una diocesi per quanti già convertiti al cristianesimo. Patrizio, nel frattempo, completati gli studi, si ritirò per un periodo nel monastero di Lérins di fronte alla Provenza, per assimilare la vita monastica, convinto che con questo carisma avrebbe potuto impiantare la Chiesa tra i popoli celti e scoti d’Irlanda. Con lo stesso scopo si recò in Italia, nelle isole di fronte alla Toscana, per visitare le comunità monastiche di quei luoghi e capire che metodo fosse usato dai monaci per convertire gli abitanti delle isole.
Secondo recenti studi, Patrizio fu consacrato vescovo e nominato successore di Palladio intorno al 440. Il suo metodo di evangelizzazione fu adatto ed efficace. Gli irlandesi erano raggruppati in un gran numero di tribù che formavano piccoli stati sovrani: occorreva il favore del Re di ogni singolo territorio, per avere il permesso di predicare e la protezione nei viaggi missionari. Per questo scopo Patrizio faceva molti doni ai personaggi della stirpe reale e anche ai dignitari che l’accompagnavano. Il denaro era in buona parte suo. Lo attingeva dalla vendita dei poderi paterni che aveva ereditato. Secondo gli Annali d’Ulster, nel 444 Patrizio fondò la sua sede ad Armagh, nella contea che oggi porta il suo nome; evangelizzò soprattutto il Nord e il Nord-Ovest dell’Irlanda; nel resto dell’Isola ebbe dal 439 l’aiuto di altri tre vescovi.
Una leggenda narra che Patrizio fosse custode di una grotta senza fondo dalla quale, dopo aver visto le pene dell’Inferno, si poteva accedere al Purgatorio giungendo persino ad intravedere il Paradiso.
Secondo il racconto, tali erano le difficoltà incontrate dal missionario nella terra irlandese, che Gesù, mosso a compassione, gli era apparso mostrandogli una cavità nel terreno; chiunque, entrando in questa caverna, dopo un digiuno di tre giorni e dopo aver confessato i propri peccati, avrebbe potuto vedere le pene e le ricompense che avrebbe dovuto scontare o di cui avrebbe beneficiato nell’aldilà e, in base a questo, poteva dare una adeguata conduzione al resto della propria vita. In questo luogo Patrizio aveva fatto erigere delle mura a custodia delle quali aveva messo alcuni monaci a cui i pellegrini potevano confessare i peccati prima di intraprendere il viaggio nella cavità. La grotta, nota come il Pozzo di San Patrizio, era localizzata su un isolotto del Lough Derg, dove poi venne costruita una chiesa, ancora oggi meta di pellegrinaggi nonostante il pozzo sia stato murato nel 1497 per volere di Alessandro VI (1431-1503).
Attraverso molte visioni, santa Francesca Romana (1384-1440)[3] poté vedere il Paradiso, l’Inferno ed anche il Purgatorio. Definisce quest’ultimo come Regno dei dolori e lo descrive come diviso in varie regioni: quella superiore, nella quale si trovano le anime che soffrono la pena del danno, quelle che non possono vedere Dio, e pene sensibili meno gravi per colpe lievi; qui il Purgatorio consiste in un’infinita nostalgia di Dio e della sua beatificante visione. Nel Purgatorio di mezzo soffrono quelle anime che hanno colpe più gravi da espiare. La terza regione, quella più bassa, è molto vicina all’Inferno e piena di un fuoco che penetra le ossa e il midollo, fuoco che si distingue da quello dell’Inferno solo per la sua opera purificatrice e santa. Ciascuna di queste regioni è a sua volta divisa in varie zone in base alle colpe e alle pene.
Per Francesca Romana, Dio accoglie effettivamente le intenzioni di coloro che offrono preghiere o opere di riparazione o di penitenza a beneficio di una determinata anima, a meno che non ci siano particolari motivi per cui queste opere o preghiere non le giovino (ad esempio, se una persona non ha mai avuto stima della Santa Messa o ha trascurato di seguirla o di ascoltarla nei giorni di festa, non usufruisce dei meriti del santo sacrificio offerto per lei).
Santa Teresa d’Avila considerò una delle più grandi grazie una visione nella quale Dio le mostrò l’Inferno e il posto che le sarebbe stato riservato se avesse continuato nella tiepidezza e nella superficialità con cui aveva vissuto a lungo anche la vita religiosa. Fu quindi presa da un fuoco divoratore per l’infinito desiderio di preservare le anime da questo abisso. Nella sua opera mistica Il castello interiore, descrive il tormento che le anime del Purgatorio devono subire a causa dell’ardente desiderio che hanno di quella beata visione di Dio che non è loro ancora concessa. In questo tempo, Dio «dona all’anima una così viva conoscenza di ciò che egli è veramente, che il tormento raggiunge un grado da spingerla a urlare. Ora l’anima non può fare altro, pur essendo abituata a sopportare con pazienza i suoi tremendi dolori, poiché non sente questo dolore nel corpo, ma nel suo intimo più profondo. Le pene delle povere anime del Purgatorio sono proprio di questo genere, poiché essendo liberate dal corpo soffrono assai di più di quanto non si possa soffrire mentre si è vivi sulla terra. L’anima viene consumata da una sete ardente del possesso di Dio, eppure non può raggiungere quest’acqua».
Santa Gertrude la Grande (1256-1301) è stata una mistica, monaca benedettina che ha ricevuto molte visioni celesti. Tra le sue tante rivelazioni private c’erano brevi scene del Purgatorio. Una di queste visioni viene descritta nel libro The Life and Revelations of Saint Gertrude (La Vita e Le Rivelazioni di Santa Gertrude), che sottolinea il potere della preghiera per le anime del Purgatorio:
«Mercoledì, all’elevazione dell’Ostia, ella ha supplicato Nostro Signore per le anime dei fedeli del Purgatorio, perché le liberasse dai loro dolori in virtù della Sua mirabile Ascensione. E ha visto Nostro Signore scendere in Purgatorio con un’asta d’oro in mano, che aveva tanti ganci quante erano le preghiere che erano state recitate per quelle anime. Per questo, sembrava attirarle a un luogo di riposo. Ella ha quindi capito che ogni volta che qualcuno prega – in genere per motivi di carità – per le anime del Purgatorio viene liberata la maggior parte di quelle anime che in vita hanno compiuto opere di carità».
Con le anime del Purgatorio, santa Francesca Saverio Cabrini (1850-1917) – missionaria ed educatrice italiana naturalizzata statunitense, fondatrice delle Missionarie del Sacro Cuore di Gesù – se la intendeva molto bene. Trovandosi in bisogno di avere certi documenti che non poteva rintracciare, pregò con suffragi una sua figlia defunta, la quale le apparve e le indicò dove poteva rinvenire i documenti richiesti. Morto mons. Bersano, ed accostandosi ella un giorno alla S. Comunione in suo suffragio, se lo vide innanzi che le diceva: «Questa santa Comunione la farai per me». Per un mese si ripeté alle sue orecchie la stessa domanda, ed al termine del mese lo rivide sorridente, e sentì dirsi: «Adesso basta, ti ringrazio; finora hai aiutato me, d’ora innanzi io aiuterò te».
Madre Serafina del Sacro Cuore (1849-1911) – al secolo Clotilde Micheli – è la Fondatrice dell’Istituto Suore degli Angeli. Fino a 18 anni vive in famiglia, in ambiente cristiano; i genitori la educano all’amore per Dio e per il prossimo. Emerge nell’animo di Clotilde, in maniera incancellabile, l’assolutezza di un’ascesi esigente e coraggiosa, del primato della volontà di Dio come continuo presente che la interpella e la muove. Man mano va dispiegandosi in lei il piano di Dio. Riguardo al Purgatorio, una suora della sua congregazione così testimoniò al processo di beatificazione: «Eravamo nel 1904, e durante la Novena dell’Assunta si leggeva un libro in cui si narrava come la Madonna aveva rivelato ad una Sua serva, che Ella nel giorno della sua gloriosa Assunzione era solita liberare tante anime dal Purgatorio quante ne conteneva la città di Roma. A tale lettura cominciai a pensare: chi sa se mia Mamma è salva o sta ancora in Purgatorio? Oppure già è forse andata in Paradiso? Con tale pensiero cominciai a pregare, e sebbene pensassi che forse la Madre Fondatrice mi avrebbe potuto dire qualche cosa, pure non avevo coraggio di parlargliene né tali miei pensieri manifestai a chicchessia. Trascorse così il resto della Novena e nel giorno dell’Assunzione supplicai la Madonna con maggior fervore dopo la Santa Comunione, perché conducesse in Cielo l’anima della Mamma mia. Si noti che prima d’allora non avevo mai pregato per tale scopo, perché, data la spensieratezza della mia età, contavo allora 12 anni, non ci avevo pensato. Dopo la Messa di quel giorno la Madre Fondatrice nel vedermi mi dice: “Tu hai pregato la SS. Vergine, perché vuoi sapere se tua Mamma sta in Purgatorio, e non può andare in Cielo se tu non preghi molto per lei”. Si può immaginare qual fu il mio stupore a tale improvvisa rivelazione, sicché piena di commozione esclamai: “E quando andrà allora in Paradiso, la Mamma mia?”. Ed Ella: “Alla prossima festa della Madonna, se tu sarai buona e pregherai assai”. Infatti, il giorno 8 settembre la venerata Madre mi chiama di nuovo e mi dice: “Ho visto una colomba, e la prima cosa che ho fatto è stata di prostrarsi ai piedi della SS. Trinità, ha pregato per te e ti ha ottenuto molto grazie. Ora non dire a nessuno queste cose”».
Fondatrice dell’Ordine delle Teatine, Suor Orsola Benincasa (1547-1608) ricevette le stimmate due anni prima della morte, ma fin da giovane conobbe le palpitazioni estatiche, che preannunciavano l’estasi. Ebbe grande devozione per le anime del Purgatorio e a volte prese su di sé le loro pene. Si narra di un episodio avvenuto mentre assisteva sua sorella Cristina che stava per morire. La venerabile si accorse che la sorella era stata presa da una terribile paura del Purgatorio. Per confortarla e liberarla da quell’angoscia, Orsola pregò Dio di voler condonare alla morente le pene del Purgatorio e far soffrire piuttosto lei al suo posto. Il Signore accolse la sua preghiera e Cristina fu subito liberata dai tormenti e dalla paura, morendo serenamente. Orsola, invece, venne immediatamente colta da grandi dolori che non l’abbandonarono più fino alla morte.
Sua sorella Marotta, badessa di Santa Maria a Capua morì nel 1257 ed apparve a san Tommaso d’Aquino mentre questi si trovava a Parigi. Marotta gli chiese di celebrare delle Sante Messe per liberarla dal Purgatorio ed il santo supplicò i sacerdoti studenti che partecipavano alle sue lezioni di pregare per la sua defunta sorella. Guglielmo di Tocco (1280-1335) scrive: «Maestro Tommaso, che parlava più di cose celesti che di cose terrene, aveva frequenti consolazioni da parte di cittadini del cielo. Si narra a proposito di ciò, che mentre si trovava a Parigi, gli apparve sua sorella in sogno. Mentre gli diceva di trovarsi in Purgatorio, lo pregò che celebrasse un certo numero di Messe. Ella sperava di essere liberata per mezzo di questo prezioso aiuto. Allora Tommaso radunò i suoi studenti e li pregò di celebrare delle Sante Messe e di fare delle preghiere per l’anima di sua sorella. Quando più tardi san Tommaso si trovava a Roma, gli apparve di nuovo sua sorella in una visione e gli rivelò che ora era stata liberata dal Purgatorio e grazie alle Sante Messe che lei aveva chiesto ora godeva della gloria del cielo. Quando poi chiese di suo fratello Landulfo, ella rispose che era al Purgatorio. Di Reginaldo, altro fratello del santo, ella disse che era in Paradiso». Un’altra volta, mentre san Tommaso stava pregando nel convento di Napoli, gli apparve il suo confratello defunto Padre Romano Rossi Orsini. Al vederlo il santo gli disse: «Benvenuto! Quando siete arrivato qui?». Quello rispose: «Io sono dipartito dalla vita terrena. Per i tuoi meriti mi fu concesso di mostrarmi a te». Allora san Tommaso, ripresosi dallo stupore per quella improvvisa manifestazione, gli chiese: «Se a Dio piace, allora io ti scongiuro di rispondere alla mia domanda: le mie opere piacciono a Dio?». Romano rispose: «Le tue opere piacciono a Dio!». Tommaso allora chiese ancora: «E con te come va?» ed il defunto rispose: «Io sono nella Vita eterna, ma fui quindici giorni in Purgatorio per via della negligenza di cui mi resi colpevole a causa di un testamento che il vescovo di Parigi mi aveva ordinato di stendere al più presto, io però ho rimandato con negligenza la stesura di esso». San Tommaso gli chiese ancora: «Come va con quella questione della quale spesso abbiamo discusso fra noi, se cioè il possesso della scienza che si acquista quaggiù, di là nella Patria celeste rimane?» e quello rispose: «Fratello Tommaso, io vedo Dio, e voi non dovete cercare altro su questa questione!» e Tommaso ancora: «Come vedi Dio? Dimmi se lo vedi senza una infrapposta immagine o mediante rassomiglianza?» ed egli rispose: «Come abbiamo udito, così vediamo nella città del Signore degli eserciti!» e subito dopo scomparve.
Il santo Curato d’Ars (1786-1859)[4] diceva ad un ecclesiastico che lo consultava: «Oh, se si sapesse quanto grande è il potere delle buone anime del Purgatorio sul Cuore di Dio! e se bene si conoscessero tutte le grazie che per loro intercessione possiamo ottenere, non sarebbero tanto dimenticate! Bisogna per esse pregar molto, onde esse molto preghino per noi!».
[1] Fiorentino d’origine, si trasferì ancora molto giovane a Roma, dove decise di dedicarsi alla propria missione evangelica in una città corrotta e pericolosa, tanto da ricevere l’appellativo di secondo apostolo di Roma. Radunò attorno a sé un gruppo di ragazzi di strada, avvicinandoli alle celebrazioni liturgiche e facendoli divertire, cantando e giocando, senza distinzioni tra maschi e femmine, in quello che sarebbe divenuto in seguito l’Oratorio, ritenuto e proclamato come vera e propria Congregazione da Gregorio XIII (1502-1585) nel 1575.
[2] Estratto dal libro O Breviário da Confiança, di mons. Ascânio Brandão
[3] Al secolo, Francesca Bussa de’ Leoni, coniugata Ponziani, è stata una religiosa e mistica, fondatrice della comunità delle Oblate di Tor de’ Specchi.
[4] Jean-Marie Baptiste Vianney è stato un presbitero francese, reso famoso col titolo di Curato d’Ars per la sua intensa attività di parroco in questo piccolo villaggio dell’Ain. Figlio di poveri contadini, raggiunse la meta del sacerdozio superando molte difficoltà. Spese la sua vita nell’evangelizzazione, nella pratica del sacramento della penitenza, nell’assidua preghiera e nella celebrazione della Santa Messa. Quando morì, Ars era divenuta luogo di pellegrinaggio, essendosi sparsa per tutta la Francia la sua fama di confessore e direttore spirituale.
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Causale: donazione