Deus Noster
Non so se il 24 gennaio, quando uscirà dalla porta principale di Montecitorio eletto Presidente della Repubblica alla prima votazione, Mario Draghi sarà osannato dal popolo festante e se gli saranno rivolte le stesse parole che nell’immaginazione di Benson, autore de Il padrone del mondo, il popolo inglese rivolse a Giuliano di Falsenburg – protagonista di quel romanzo profetico – quando divenne presidente d’Europa.
Deus Noster gridarono gli inglesi. Agli italiani, che non sanno distinguere il Bene dal Male e non sanno più neanche il latino, basterà continuare a fare quello che hanno fatto fino ad ora. Saranno lieti, con i loro ghigni coperti dalle mascherine, di affidarsi all’uomo della Provvidenza. Non si faranno alcuna domanda. Si sentiranno protetti. Imbalsamati. Al sicuro. Con l’uomo giusto sarà al posto giusto, così come si rileva dalle sue stesse dichiarazioni pubbliche. Nella conferenza stampa di fine anno, Draghi dice: «Questo Governo è stato chiamato dal Presidente della Repubblica. Ha fatto tutto o comunque molto di quello per cui era stato chiamato. Fondamentale per l’azione di Governo è stato il sostegno delle forze politiche. I miei destini personali non contano assolutamente niente. Io non ho particolari aspirazioni, di un tipo o dell’altro. Sono un uomo, se volete un nonno, al servizio delle Istituzioni. Quindi, la responsabilità della decisione è interamente nelle mani delle forze politiche, che hanno permesso a questo Governo di agire. Non è nelle mani di individui. Sarebbe veramente fare un’offesa all’Italia, che è molto di più di persone, di individui. La grandezza del Paese non è determinata da questo o quell’individuo. È determinata da un complesso di forze, di persone e di sostegno politico che permettono di andare nella direzione giusta».
Che significa questo? Qualcuno se lo chiede? Significa che sul campo – al di là dei diversivi che artatamente vengono proposti – esiste solo la sua auto-candidatura. Ammaliando, dipinge il suo ruolo come quello di un nonno seduto davanti al camino che guarda giocare i nipotini. Vuole essere eletto e sa di poter essere eletto. Desidera ardentemente continuare ad essere servito dalle forze politiche che gli hanno consentito finora di agire, di andare nella direzione giusta, come sottolinea. Quella che solo lui sa e comprende. Ha già pronta l’indicazione del suo successore a Palazzo Chigi. Un suo uomo di fiducia, che completerà il piano avviato con il denaro ricevuto in prestito dall’Europa con il PNNR, che è in corso di distribuzione, senza che l’Italia abbia ancora visto l’avvio di una riforma seria e di un piano di investimenti credibile che ne determini lo sviluppo e con la prospettiva di produrre un debito pubblico colossale, perché quella montagna di denaro – 209 miliardi – che ora fa gola a molti, dovrà essere interamente restituito con gli interessi.
Senza alcun ostacolo, per i prossimi sette anni almeno – lasciando come unica eredità della sua permanenza a Palazzo Chigi la privatizzazione della compagnia aerea di bandiera, nel solco della più grande privatizzazione delle aziende italiane da lui promossa negli anni ’90 – determinerà il destino del Paese. Nella sua nuova posizione, non gli servirà alcuna mediazione e nessun compromesso. Non cercherà, come fa ora, il consenso delle forze politiche che lo sostengono e che glielo concedono con un assegno in bianco. La politica, se ora è annientata, non esisterà più. Sarà solo lui a prendere le decisioni e il Parlamento – se ancora fisicamente esisterà – le ratificherà. Già oggi, se qualcuno chiede ad un qualsiasi parlamentare a che cosa si andrà incontro nelle prossime settimane, si sente rispondere: anche noi apprendiamo le notizie dai giornali. Sono eletti del popolo – seppur indicati dai partiti – ma sono lì, senza contare nulla. Senza dignità. Moltissimi di loro sanno che non saranno rieletti e se ne stanno buoni e zitti, in attesa che maturi il tempo della pensione di vecchiaia. Il voto non servirà più. Del resto, il popolo – un’entità astratta, ormai – questo suo diritto sembra non voglia più esercitarlo, considerata l’altissima percentuale delle astensioni e l’assoluto menefreghismo con il quale vengono accolte decisioni che, senza alcuna giustificazione, se non quella di creare uno Stato dispotico, massacrano i princìpi dell’ordine naturale e lo Stato di Diritto. Della Costituzione si potrà fare carta straccia, come finora è stato fatto, senza che nessun magistrato si chieda se le decisioni prese siano o meno in contrasto con il suo dettato.
L’uomo giusto al posto giusto, con la sua aria pacifica, amabile e soave, dominerà l’Italia, ne determinerà il destino, ipotecandone il futuro per le prossime generazioni e realizzando un’opera di ingegneria sociale mai vista prima d’ora, di cui chi ha conservato ancora la ragione ed ha fede in Dio – sottoponendosi liberamente a questa prova di fedeltà – ne riconosce i prodromi.
Deus Noster? Non so se Draghi sia l’Anticristo. Quel che so è che con i suoi sette anni al Quirinale non ci saranno prigionieri.
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