In ginocchio, davanti alla Croce
Per ragioni legate all’età, che avanza inesorabile e soprattutto per il distacco che nutro sempre più, nel profondo del mio intimo, verso le miserie, le ingiustizie e le menzogne che dominano il mondo – ordite da uomini devoti e dediti solo al male – penso spesso al momento della conclusione di questa vita. Leggo, allora, il commento di Sant’Alfonso Maria de’ Liguori per la XII stazione della sua Via Crucis (Gesù muore sulla Croce): «O morto mio Gesù, bacio intenerito codesta Croce, ove per me Sei morto. Io per i miei peccati ho meritato di fare una cattiva morte; ma la Tua morte è la mia speranza. Per i meriti della Tua morte concedimi la grazia di morire abbracciato ai Tuoi piedi e ardendo d’amore per Te. Nelle Tue mani raccomando l’anima mia».
C’è una sola speranza da coltivare per l’incontro che nell’istante stesso del nostro spirare avremo con Cristo, nel quale Egli esprimerà il Suo giudizio particolare sul destino eterno della nostra anima, il momento più importante, con la nostra nascita, del nostro stare al mondo. Deriva direttamente dalla Croce: rimanere inginocchiati e abbracciati ai piedi di Cristo e nutrire amore solo per le Sue piaghe. Tutto il resto non conta nulla. È nulla. Questo è il fondamento del Cristianesimo, che non è una dottrina e tanto meno un’ideologia, ne è sentimentalismo mieloso, come fanno credere quei modernisti eretici che da secoli ambiscono ad appropriarsi della coscienza degli uomini per farli allontanare da Dio. Il Cristianesimo è un fatto: l’Uomo-Dio, che è venuto ad abitare in mezzo a noi, per offrirci una possibilità di redenzione dai nostri peccati, ha scelto di subire l’atroce supplizio che Gli hanno inflitto gli uomini, l’agonia e la morte, consegnandoci così la possibilità di Nuove Terre e Nuovi Cieli. Un fatto che di per sé desta stupore, comprensibile solo attraverspo il dono della Grazia. Coinvolge direttamente il bene supremo della libertà dell’uomo: può accettarlo o non accettarlo, andando incontro a conseguenze diverse, che riguarderanno la sua vita vera, quella dell’al di là: la privazione, temporanea o eterna, della visione di Dio o la partecipazione al convitto di nozze del Regno di Dio.
«Noi», dice sant’Agostino, «non dobbiamo più aver paura di morire: è morto Cristo per noi. Noi ora possiamo morire con la speranza della vita eterna: Cristo è risorto perché anche noi risorgessimo. Nella sua morte e nella sua risurrezione ci è indicato un fatto e promesso un premio; il fatto indicato è la passione, il premio promesso è la risurrezione. Questo fatto i martiri lo hanno realizzato; realizziamolo anche noi con la pietà, se non ci è possibile con la passione. Non a tutti è concesso di patire per Cristo, di morire per Cristo. Il semplice morire invece tocca a tutti. Felici coloro a cui è concesso che quello che comunque deve avvenire, avvenga per Cristo; vi era infatti la necessità di morire, ma non era inevitabile morire per Cristo. Per tutti del resto verrà la morte, ma non per tutti la morte per Cristo. Quelli a cui avvenne di morire per Cristo hanno restituito in un certo qual modo ciò che era stato dato loro. Il Signore aveva dato la sua morte per loro. Ed essi gli restituirono di morire per lui. Ma come potrebbe un uomo misero e povero ricambiare, se non fosse ancora il Signore che dà della sua ricchezza? Cristo aveva fatto un dono ai martiri: un altro ne fa perché glielo possano ricambiare. La voce dei martiri è questa: Se il Signore non fosse stato in noi forse i nemici ci avrebbero inghiottiti vivi (salmo 124). Forse – dice – i persecutori ci avrebbero inghiottiti vivi. Che significato ha: vivi? Significa che, pur sapendo di fare male se si rinnegasse Cristo, tuttavia un così gran male lo si farebbe vivi, cioè in piena consapevolezza. E così ci avrebbero inghiottiti vivi, non morti. Dunque, vivi significa consapevoli, non ignari. E in virtù di quale forza riuscirono a non fare quello che i persecutori volevano costringerli a fare? Lo si chieda loro, lo dicano loro. Ecco, rispondono: Non sarebbe stato possibile se il Signore non fosse stato con noi. Dunque, Lui ha dato con l’intenzione che Gli fosse restituito. Grazie a lui! Egli è ricco e, come è stato scritto: Si fece povero per fare ricchi noi (2 Cor 8, 9); ricchi della sua povertà, risanati dalle sue ferite, esaltati per la sua umiltà, vivificati dalla sua morte».
Non è la resurrezione, ma la morte di Cristo la chiave dell’esperienza cristiana e della nostra salvezza eterna. La partecipazione alla Sua passione, costituisce la liberazione dalle umane sofferenze, dalle angosce, dalle paure, dalle solitudini della vita, insidiata continuamente dagli spiriti del male, che ci vogliono attrarre nella loro disobbedienza a Dio per obbligare la nostra coscienza a non servirLo, a non santificarci e a non imitare nella Sua umiltà Suo Figlio, che si è incarnato per noi.
Scrive ancora sant’Agostino: «Per sanare la nostra miseria non ci fu modo più conveniente che la passione di Cristo». Commenta san Tommaso d’Aquino nel Trattato sulla passione di Cristo: «Infatti un mezzo è tanto più adatto a conseguire il fine, quanto più numerosi sono i vantaggi che con esso si raggiungono in ordine al fine. Ora, per il fatto che l’uomo è stato liberato mediante la passione di Cristo, oltre alla liberazione dal peccato si ebbero anche molti altri vantaggi in ordine alla salvezza dell’uomo. Anzitutto, considerando la passione di Cristo l’uomo conosce quanto Dio lo ama, e così viene provocato ad amarlo: ed è in tale amore che consiste la perfezione dell’umana salvezza. Dice infatti san Paolo: Dio dimostra il Suo amore verso di noi nel fatto che, quando eravamo ancora Suoi nemici, Cristo è morto per noi (Rm 5,8). In secondo luogo, con Ia passione ci è dato un esempio di obbedienza, di umiltà, di costanza, di giustizia e di tutte le altre virtù che Cristo ha manifestato in quella circostanza: ed esse sono tutte necessarie per la salvezza dell’uomo. Perciò sta scritto: Cristo patì per noi, lasciandoci un esempio, perché ne seguiamo le orme (1 Pt 2,21). In terzo luogo, Cristo con la Sua passione non solo ha liberato l’uomo dal peccato, ma gli ha meritato la grazia che giustifica e la gloria della beatitudine eterna. In quarto luogo, dalla passione è derivata all’uomo un’esigenza più forte a conservarsi esente dal peccato, secondo le parole di san Paolo: Siete stati comprati a caro prezzo: glorificate e portate Dio nel vostro corpo (1 Cor 6,20). In quinto luogo, la passione di Cristo aumentò la dignità dell’uomo sì che, come l’uomo con l’inganno era stato vinto dal diavolo, così fosse l’uomo a vincere il diavolo, e come l’uomo si era meritato la morte, cosi un uomo morendo vincesse Ia morte. Dice san Paolo: Siano rese grazie a Dio, che ci ha dato la vittoria per mezzo di Gesù Cristo (1 Cor 15,57). Inoltre, per poter conseguire gli effetti della passione di Cristo, dobbiamo configurarci a lui, e questa configurazione avviene sacramentalmente nel battesimo: Siamo sepolti con lui per mezzo del battesimo nella morte (Rm 6,4). Quindi ai battezzati non viene imposta nessuna penitenza riparatrice, perché essi sono totalmente liberati per mezzo della soddisfazione offerta da Cristo. E poiché Cristo è morto una volta per tutte per i nostri peccati (1 Pt 3,18), l’uomo non può configurarsi alla morte di Cristo una seconda volta per mezzo del sacramento del battesimo. È dunque necessario che coloro che peccano dopo il battesimo si configurino a Cristo sofferente per mezzo di qualche penitenza e sofferenza sostenuta nella propria persona. Ne basta tuttavia molto meno di quanto sarebbe proporzionato al peccato, perché interviene la forza redentrice della passione di Cristo. Essa però ha efficacia in noi solo se siamo incorporati a Lui come le membra al capo. Le membra devono essere conformi al loro capo. Perciò, come Cristo per primo ebbe la grazia nell’anima insieme alle capacità di soffrire nel suo corpo, e mediante la passione giunse alla gloria dell’immortalità, cosi anche noi, che siamo Sue membra, mediante la Sua passione siamo liberati dalla colpevolezza degna di qualunque pena, ma in modo da ricevere prima nell’anima lo spirito d’adozione a figli (Rm 8,15), per cui ci è riservata l’eredità della gloria immortale anche se per ora abbiamo un corpo soggetto alla sofferenza e alla morte: ma per il futuro, configurati alle sofferenze e alla morte di Cristo (Fil 3,10), siamo guidati verso la gloria immortale, come dice san Paolo: Se siamo figli Dio, siamo anche eredi: eredi di Dio, coeredi di Cristo, purché partecipiamo alla sua passione per partecipare anche alla Sua gloria (Rm 8,17)».
Il mondo in cui viviamo è destinato a svanire, insieme a coloro che si fanno credere i suoi padroni e che agiscano – nell’ambito ecclesiastico e in quello civile – per eliminare dalla storia dell’uomo Colui che ha sconfitto la morte per sempre, sottoponendo coloro che credono ad una prova che spesso costituisce un’anticipazione dell’Inferno. Nell’affrontare questa prova – che costituisce il percorso inevitabile del nostro cammino su questa Terra – armiamoci di umiltà e teniamo la lampada accesa, colmandola sempre d’olio, nell’attesa dell’unico momento di vera gioia della nostra vita, se di questa gioia saremo degni.
Chiedo scusa a coloro che hanno prenotato e non hanno ancora ricevuto il mio nuovo libro LE SFUMATURE DELLE TENEBRE – I lupi sono usciti dalle loro tane, che riguarda gli ultimi tre anni della nostra vita https://www.daniloquinto.it/le-sfumature-delle-tenebre/ C’è stato un ritardo nella fase di stampa. Nel link troverete le modalità per ricevere il libro.
Auguro a tutti Voi una Santa Pasqua!