La nostra prigione
La prigione in cui viviamo non è quella confezionata da coloro che hanno trasformato l’Italia nel più grande laboratorio di sperimentazione socio-sanitaria mai apparso sulla scena umana. Non è quella di quell’infernale scatola accesa nelle nostre case che divulga la necessità di siringare anche i bambini con un farmaco che rende sterili. Non è quella di un sistema sanitario, completamente nelle mani dei manager delle multinazionali dei farmaci, che ha rinviato centinaia di migliaia di visite specialistiche e interventi d’urgenza per tumori, malattie cardio-vascolari e altre patologie gravissime, incidendo così in modo irrimediabile sulla morbilità e sulla mortalità dei prossimi anni. Non è quella di uno Stato che da un lato elargisce elemosine con i bonus per far credere che si possa sopravvivere e, dall’altra, avalla aumenti sconsiderati delle bollette elettriche, del gas e della benzina, con conseguente aumento di tutti i prezzi dei beni di prima necessità, al fine di strangolare la popolazione più in difficoltà. Non è quella delle mamme che accompagnano ad abortire le loro disinvolte figlie o quella degli adolescenti che si siringano altrimenti non potrebbero entrare nei locali per consumare droga e alcol. Non è quella di un sistema di giustizia che impiega decenni per dire giustizia. Non è quella di una Scuola e di un’Università legate indissolubilmente all’ideologia più aberrante che l’uomo abbia conosciuto. Non è quella di un Parlamento che rinuncia ad esercitare le sue funzioni. Non è quella degli uomini di Chiesa, che tradiscono il lascito divino.
La prigione in cui viviamo è dentro di noi. Occupa i nostri cuori e le nostre menti. L’abbiamo costruita noi stessi. Passo dopo passo. Pietra su pietra. Abbiamo abbandonato Dio e abbiamo pensato, così, di divenire liberi. Abbiamo seguito il richiamo del serpente e, con lui, abbiamo stretto un patto. Così, è crollato tutto. La nostra fede. La nostra dignità. La nostra libertà. L’amore per la Verità. Scomparso il timore di Dio, è dilagata la paura della morte.
Un lettore mi ricorda le parole che Aleksandr Solženicyn pronunciò il 10 maggio 1983 nel “Discorso al ricevimento del premio Templeton”. Le faccio mie:
“Più di mezzo secolo fa, quando ero ancora un bambino, ricordo di aver sentito un certo numero di anziani offrire la seguente spiegazione per i grandi disastri che avevano colpito la Russia: ‘Gli uomini hanno dimenticato Dio; ecco perché è successo tutto questo’. Da allora ho passato quasi 50 anni a lavorare alla storia della nostra rivoluzione; nel frattempo ho letto centinaia di libri, raccolto centinaia di testimonianze personali e ho già contribuito con otto volumi miei allo sforzo di sgombrare le macerie lasciate da quello sconvolgimento. Ma se oggi mi chiedessero di formulare nel modo più conciso possibile la causa principale della rovinosa rivoluzione che ha inghiottito circa 60 milioni di persone, non potrei esprimerla con maggiore precisione che ripetere: ‘Gli uomini hanno dimenticato Dio; ecco perché è successo tutto questo’”.
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