L’Italia è ancora degli italiani?
Romano Prodi e Eugenio Scalfari – il primo ottantenne, il secondo ultranovantenne, per dire quale rinnovamento c’è nel ceto dirigente italiano – inneggiano oggi con due editoriali (uno su La Stampa, l’altro su Repubblica), all’accordo Pd-M5S. Lo benedicono, da padri della sinistra quali sono, il primo catto-comunista, il secondo post-comunista. Difendono, con disincanto misto a cinismo, I poteri forti, come di solito vengono chiamati. Sono quelli delle burocrazie di Bruxelles, di Parigi, di Berlino, fortemente interessate al controllo militare dell’Italia, con la quale intendono ripetere l’esperimento Grecia, la sua riduzione a colonia asservita alle elités.
Anche la santificazione dell’intero establishment di Giuseppe Conte – il Presidente del Consiglio che incredibilmente va a rappresentare il nostro Paese alla riunione del G7 e che da lì spara bordate contro Salvini e la Lega, per legittimarsi come leader politico dei Cinquestelle, con il M5S che tace – va in questa direzione. Secondo alcuni, dovremmo essere grati a questo professore di Firenze – e ci sarebbe da chiedersi quale ruolo hanno figure emblematiche di questa città nelle sorti dell’Italia, da Matteo Renzi a Denis Verdini (avete letto bene, non Dante o Savonarola, ma Renzi e Verdini) nello svolgimento della crisi in atto – se l’Europa per due volte non ha proceduto nella procedura d’infrazione contro l’Italia. Come se Conte non avesse fatto altro che il proprio dovere e come se l’Italia meritasse una procedura d’infrazione.
Magari la procedura d’infrazione l’avrebbe meritata la Francia, che sfora il deficit ogni anno senza alcun problema, con la benedizione della Germania e dei colletti bianchi della Commissione europea, che non si permettono di minacciare alcunché, ma benedicono le manovre finanziarie di Macron, che tenta disperatamente di conservare il potere, anche per evitare che durante il suo mandato – che grazie a Dio ha pochissime possibilità di essere rinnovato – esploda ancora di più la rabbia sociale, che già si è manifestata con il fenomeno del Gilet gialli. Chissà cosa ne pensa di questa disparità di trattamento – oltre che della sua posizione molto delicata, sulla quale molto poco si è detto – Sandro Gozi, PD, ex sottosegretario agli Esteri dei Governi Renzi e Gentiloni, che è ora al servizio di Macron e della sua grandeur, come consulente.
Sulla stessa linea di Macron, c’è la Merkel, che gli va a braccetto, custode di una Nazione che sta attraversando una crisi economica pesantissima, il cui esito è imprevedibile. C’è chi sostiene, a ragion veduta, che per salvare se stessa la Germania avrebbe solo l’alternativa di uscire dall’euro. Vi ricordate il piano B di Paola Savona, ora Presidente della Consob e fino a qualche mese fa Ministro del Governo Conte per gli Affari europei? Non significava uscire dall’euro, ma prepararsi a quest’eventualità, che avrebbe potuto e potrebbe ancora dipendere dalla volontà e dalle decisioni altrui.
Dire che l’Italia dovrebbe porsi questo problema significa essere additati a traditori della Patria – oltre che fascisti, naturalmente – come se un’adesione politica ad un organismo che vuole riunire più Stati, possa essere determinata solo dal fatto che quegli stessi Stati non stampano più moneta, delegando lo stampaggio e la messa in circolazione della moneta, oltre alle conseguenti decisioni di politica economica e finanziaria, ad un’associazione privata come la BCE. Questo ha un solo nome: sottrazione della sovranità. Una conseguenza alla quale si dovrebbero opporre tutti i cittadini europei, se fossero stati messi in grado di conoscere (e studiare) le regole che determinano la loro vita.
Qui entra in gioco la dimensione che più affascina il potere. Quella di tenere nell’ignoranza più assoluta il popolo dal quale riceve il mandato a governare. Il popolo non deve conoscere nè sapere nulla di quello che accade. Deve stare lì, a cuccia, zitto e buono, perché al suo destino devono pensare in pochi. Il popolo deve obbedire. Vota? Si esprime? La sua espressione di voto non deve contare nulla.
In accordo con l’Europa e con i suoi diktat, il potere ad esempio può decidere, di punto in bianco, che una maggioranza che è al Governo, legittimata dal voto popolare, sia messa da parte per essere sostituita – ipso facto – da una maggioranza costruita a tavolino.
Non accadde questo nel 2011 con il Presidente Giorgio Napolitano, che prima nominò Mario Monti senatore a vita – decisione senza precedenti nella storia del nostro Paese – per poi affidargli la formazione del Governo, che durò 13 mesi e produsse il maggiore deficit di PIL degli ultimi vent’anni, l’arretramento della produzione industriale, un tasso enorme di disoccupazione e milioni di poveri?
Caduto quel Governo – che terminò solo perché il potere si rese conto che il baratro della crisi economico-sociale, voluto dall’Europa e assecondato dalle scelte fatte, avrebbe portato il Paese ad una situazione ingovernabile – il potere non decise di affidare al popolo le sue decisioni, ma nominò per altri 5 anni, da gennaio 2013 a marzo 2018, addirittura tre Governi tutti a targa PD (Letta, Renzi, Gentiloni), che continuarono nella politica inaugurata da Monti di asservimento all’Europa, annacquandola con alcune misure sociali (estensione della cassa integrazione e concessione di un reddito detto d’inclusione sociale, una specie di reddito di cittadinanza ante-litteram) che funzionarono da specchietti per le allodole, senza cambiare di una virgola la situazione economica dell’Italia e consentendo – su un altro piano – che quei Governi si fregiassero del fiore all’occhiello di leggi sulle cosiddette libertà civili (basti ricordare il matrimonio tra persone dello stesso sesso o l’equiparazione dei figli nati dall’incesto ai figli naturali o la legge sul testamento biologico, che è usbergo all’eutanasia o di politiche amministrativo-burocratiche che, piano piano, hanno introdotto nelle scuole e persino negli asili, con dispendio di denaro pubblico, l’apprendimento della teoria del gender, cioè della possibilità che esista un sesso mutevole nel corso della vita di una persona. Una teoria che cambia in modo definitivo l’antropologia umana.
E’ questa l’eredità che il potere post-comunista – così amato dall’Europa e dalle elitès – ha lasciato agli italiani del 2018, che si permettono con il loro voto a scadenza naturale della legislatura, di premiare due formazioni politiche, la LEGA e il M5S, che nulla hanno in comune (per origine, storia, capacità di governo e radicamento sociale), tranne la velleità, coltivata di sicuro all’inizio del loro incontro, di poter incardinare una politica diversa dell’Italia nei confronti dell’Unione europea. A quest’obiettivo servivano le proposte di candidature di due personaggi come Paola Savona e Giulio Sapelli – sui quali il potere pose dei veti – che pur con saperi e caratteristiche diverse, avrebbero potuto affrontare, anche solo attraverso proposte ragionevoli dal punto di vista della politica finanziaria, il più grande problema che vive l’Italia: un Paese di 60 milioni di abitanti, settima potenza industriale del mondo, che per l’ignavia della sua classe politica deve sottostare ai voleri dell’Europa dei mercanti e dei banchieri, dei burocrati e dei massoni, dei membri del gruppo Bildeberg e dei senza Dio. A questo certamente serviva la candidatura nelle file della Lega di Alberto Bagnai, uno dei più preparati analisti economici di cui dispone il Paese, in grado di coltivare delle visioni a medio e lungo periodo e di tenere discorsi da statista, come ha dimostrato di saper fare nel corso del dibattito sulla fiducia al Governo Conte, che si è svolto al Senato la settimana scorsa.
Tutto questo è stato accantonato, per far posto ai Conte, ai Tria, ai Moavero, con i risultati che abbiamo visto. Le responsabilità di Salvini ci sono, sotto questo profilo, innanzitutto perchè ha accettato queste imposizioni, alle quali si sono aggiunte quelle meno significative di Toninelli e della Trenta, che pur hanno generato contrasti non di poco conto con la politica del Ministro degli Interni.
Ma le responsabilità di Salvini sono ancora più consistenti sotto il profilo della sua volontà di circondarsi solo di yes-man, di non confrontarsi con la sua classe dirigente, di non far crescere una classe dirigente, di ritenere di poter fare tutto da solo – come ha ben sottolineato recentemente Maurizio Blondet – e di costruire un consenso esclusivamente attraverso i selfie e le dirette facebook, senza approfondire e studiare le situazioni (come dimostra il caso eclatante di Radio Radicale, per citarne uno solo) e senza avere una visione dell’Italia a cui corrisponda un progetto di Governo.
Non basta dire “penso all’Italia del 2050”. Bisogna dire come arrivare al 2050. Con i lacci dell’Unione europea e dell’euro o mettendo in crisi politica un potere estraneo alla sovranità del nostro Paese e che ne lede la dignità?
Salvini, in questi 14 mesi, avrebbe potuto essere accompagnato in questo progetto dal Presidente degli Stati Uniti, che non fa sconti all’Europa e non fa sconti alla Cina, l’altro soggetto della politica internazionale che tanto affascina gli ambienti occidentali, in particolare quegli italiani dei Cinquestelle, che non rappresentano nella maniera più assoluta il nuovo, ma il vecchio. Anche nel Parlamento europeo hanno dato un segnale forte in questo senso, votando nel luglio scorso il candidato del PD alla Presidenza. La “svolta” dei Cinquestelle nei confronti del PD non è stata estemporanea, ma preparata da tempo. Così come da tempo era chiaro che Conte stava lavorando sulla costruzione di una sua personale leadership politica. A un uomo, da solo – anche se Ministro degli Interni – possono sfuggire alcune cose. Per questo motivo, ci si deve circondare di collaboratori che aiutino davvero. Chi ha orecchie per intendere, intenda…
Così come avrebbe potuto – Salvini – andare in Parlamento a spiegare i supposti suoi legami con la Russia di Putin. A testa alta, come deve fare un leader politico e un uomo che vuole diventare statista, senza limitarsi a dire: la magistratura sta indagando…. Politicamente, questa è un’espressione vuota. Agli attacchi, in politica, si risponde senza tentennamenti. Altrimenti si soccombe.
Ora, la frittata è fatta. Si tratta di riparare. Impedire che al Governo torni il PD, con la benedizione di un altro potere forte, che si muove come un elefante in mezzo a vasi di cristallo, Bergoglio, che non ha perso certo tempo – l’ha fatto il 9 agosto, il giorno dopo l’apertura della crisi da parte di Salvini – a schierarsi dalla parte giusta, paragonando il sovranismo a Hitler.
Sarebbe la rovina definitiva del Paese un ritorno del PD al Governo. Sono troppo abili i post-comunisti per non difendere e detenere il potere fino alla fine della Legislatura e determinare la scelta del nuovo Capo dello Stato, che ha scadenza del 2022. E’ questa la vera partita che si sta giocando in questi giorni. Gentiloni, Franceschini, Renzi, il redivivo Prodi, il padre nobile Veltroni? C’è l’imbarazzo della scelta… Delle due l’una: o a Salvini riesce il coup de théâtre di convincere Di Maio e i Cinquestelle che non ne vale la pena fare il ribaltone – a tal proposito, suggerirei nelle prossime ore un incontro prima con Di Battista e poi direttamente con Grillo – oppure deve ricorrere a tutto l’armamentario politico che ha a disposizione: la dimissione in massa dei suoi parlamentari alla Camera e al Senato e la convocazione permanente del popolo che protesta nelle Piazze per chiedere le dimissioni di un Governo non sostenuto dal voto popolare e che non rappresenterebbe nella maniera più assoluta la fotografia del consenso che i partiti potrebbero ottenere se si votasse.
So che il popolo in Italia va in piazza solo se ha fame, altrimenti si riuniscono quattro gatti. Non siamo capaci d’indignarci, ma di subire. Non siamo capaci di batterci per la libertà, ma di consegnarci mani e piedi a chi fa credere di difenderla – pro domo sua – nel nostro nome. Da noi, insomma, non ci saranno mai i Gilet gialli. E’ bastato costruire un movimento politico a tavolino, facendo credere che fosse anti-sistema, per incanalare la protesta sociale in forme sinergiche al potere e che sono diventate loro stesse potere.
Ma, nel nostro caso, se questo non accadesse, vivremmo nella sua perfezione la profezia di George Orwell nel suo 1984. Nel mondo distopico del 2050 (un futuro nel quale nessun uomo degno di questo nome vorrebbe vivere, tanto da auspicare la propria morte, come il protagonista del romanzo) il regime del “Gran Fratello” renderà impossibile anche solo pensare, nei più reconditi meandri della mente, di poter essere contro: non esisteranno neanche più le parole necessarie a questo scopo.