QUANDO LA FINANZA E’ CRISTIANA. LETTERA APERTA AD ALBERTO MINALI
Caro Alberto, da quando un amico comune mi parla giorno e notte di te, è come se ti conoscessi da sempre. Lascio perdere, quindi, le formalità e mi rivolgo a te con familiarità, se me lo consenti.
La storia la conoscono tutti. La stampa, anche internazionale, ne ha diffusamente parlato ed è stata unanime dalla tua parte. Un manager e un finanziere di altissimo profilo, che ha svolto con onore e merito i suoi mandati prestigiosi, viene epurato dalla sua carica di amministratore delegato di Cattolica Assicurazioni, che ricopriva da due anni. Non sono contestati gli obiettivi raggiunti in un tempo così breve, certificati dal bilancio (risultato operativo: 231 milioni di euro nei primi nove mesi dell’anno, +45% su base annua; raccolta complessiva cresciuta del 16,7% a 4,3 miliardi di euro; coefficiente Solvency II al 160%; combined ratio che passa dal 94,9% al 93%; patrimonio netto consolidato cresciuto a 2,18 miliardi contro i 2,1 miliardi al 31 dicembre 2017). Come si potrebbe, del resto, considerata la loro straordinarietà?
A mercato chiuso, la Compagnia fa sapere di aver «constatato e preso atto che si è progressivamente verificata una divergenza di visione» con l’amministratore delegato per quanto riguarda «l’organizzazione societaria, gli scenari strategici e i rapporti con i soci e col mercato, con la conseguenza di una non fluida, distesa e positiva posizione dell’amministratore delegato verso il cda e una non sufficiente sintonia e organicità nelle rispettive competenze».
Linguaggio mellifluo, direi. Quello che usa il potere per salvaguardare se stesso senza argomentare e per incensare, dopo averlo bastonato, il proprio avversario. Nella storia italiana, le epurazioni ci sono sempre state. Spesso, il potere ha usato mezzi sofisticati, non codificati. Chi non si allineava, veniva sbattuto fuori dal sistema, emarginato, isolato. Qualche volta, distrutto psicologicamente o perfino eliminato fisicamente. Ricordi Enrico Mattei, il più grande manager che l’Italia abbia mai avuto? Anche lui aveva una visione. La stessa colpa che viene imputata a te. Loro sembrano non avere visioni. Gestiscono ruoli di potere e vi si adagiano. Non hanno neanche potuto comprendere – a mio avviso – perchè non possiedono gli strumenti per farlo, le tue parole rivolte al momento del commiato ai dipendenti della compagnia: « (…) Non serbo rancore nei confronti di coloro che mi hanno tolto la fiducia professionale, convinto che si tratti di una decisione profondamente sbagliata (…). Ho appreso questa notizia nella stessa sessione consigliare, non senza sorpresa e con quel senso di amarezza che si sperimenta quando si sa, in coscienza, di aver compiuto il proprio dovere professionale (…). Vi chiedo, anche oggi, seppure in questo frangente non felice, di continuare a dedicare le vostre energie a Cattolica, consapevoli come noi tutti siamo che si deve mettere l’interesse aziendale ante omnia. Vi ringrazio per la vostra vicinanza e per l’affetto che sempre mi avete dimostrato che ho cercato di contraccambiare, nel mio piccolo, dando un esempio di integrità, coraggio e dedizione». Possono essere comprese queste parole così nobili da chi, per spiegare una decisione talmente grave e inaspettata, parla di divergenza di visione?
Cerco d’interpretare – dall’esterno – di quale tipo di divergenza si tratti. Ho sempre pensato che il denaro abbia una faccia buona e una faccia di proprietà di Mammona. Nel XVII secolo, questo concetto veniva spiegato da un grande economista, commerciante, ebreo sefardita, José de la Vega. E’ proprio vero. Il denaro è buono se serve a fare opere buone, per l’uomo, per le famiglie, per l’intera società. La crescita economica, il benessere di un Paese, si producono se al suo interno si sviluppa una finanza che opera in base a principi etici, perchè è proprio la finanza – come sottolineano gli economisti più illuminati – a determinare la crescita, a promuovere l’imprenditoria, a favorire l’istruzione e l’educazione dei giovani, ad alleviare la povertà, a ridurre le diseguaglianze sociali.
Negli ultimi decenni – ed in particolare dal 2008 – la finanza ha conosciuto una crisi etica senza precedenti, che ha avuto effetti devastanti anche sull’assetto degli Stati e sui loro rapporti. E’ la logica della formazione dei capitali di rendita che ha determinato quella crisi e che ancora oggi blocca la crescita, che può essere determinata solo da nuovi progetti, dalla formazione di un nuovo capitale umano, da nuove visioni, per un mondo che si evolve – o involve, a seconda dei punti di vista – a ritmi frenetici. La ricerca di pura rendita – lo sanno anche le pietre – porta guadagni solo ad alcuni e non contribuisce a creare lavoro, benefici, servizi agli altri membri, alla moltitudine della società.
Oggi, la finanza conosce una profonda e drammatica crisi – gode di una cattiva fama, se così si può dire – perchè non sembra più poggiare sulle fondamenta dell’etica e soprattutto sulla sapienza della fede e della tradizione cristiana, che non hanno mai visto nell’uso del denaro (neanche Gesù l’ha fatto, come narrano i Vangeli, al di là delle frequenti speculazioni e manipolazioni che si fanno della Sua Parola) il male assoluto. Gesù cacciò i mercanti che trattavano la casa di Suo Padre come una spelonca di ladri, ma fu grato all’uomo ricco Giuseppe d’Arimatea, che ebreo fra gli ebrei che Lo vollero in Croce, Gli fu amico, pagò la Sua sepoltura e comprese che la storia del mondo, da quel momento in poi, sarebbe stata diversa. Perfino la bellezza e la maestosità che dialoga con il Cielo delle Cattedrali cristiane sparse per tutt’Europa, deve la sua origine ad un gran numero di uomini ricchi, ai mercanti del tempo, che insieme al popolo d’allora – coeso, perchè intriso d’identità e di fede – comprese che la costruzione di quelle meraviglie, che ancora oggi ammiriamo, sarebbe stato un inno alla Bellezza e, quindi, a Dio. I genii di tutte le arti non avrebbero mai potuto esprimersi se non fossero stati aiutati da finanzieri illuminati. Sant’Agostino scriveva: “I vizi osservati nei rapporti commerciali sono legati ai singoli mercanti, non al commercio in sé (“Enarr. In Psalnos”). Che grande verità!
Noi oggi viviamo tutti in una specie di palude morale. Camminiamo per le strade delle nostre città e dei piccoli paesi senza vedere quello che sta intorno a noi. Il giovane che non trova lavoro ed è costretto ad abbandonare il suo Paese. Le eccellenze scolastiche o universitarie che non vengono premiate, in ragione dell’ideologia della massificazione e dell’omologazione culturale. Il merito che viene seppellito. Le famiglie che non vengono sostenute economicamente. I figli che non vengono procreati. I vecchi che vengono abbandonati. La decrescita felice e l’ambientalismo d’accatto che vengono sbandierati come se fossero la soluzione di tutti i problemi.
Non vogliamo vedere, perchè se volessimo vedere, non avremmo gli strumenti culturali per intervenire. Siamo totalmente impreparati e incapaci. La crisi culturale del mondo occidentale – determinata dalla perdita della sua identità e dei suoi valori – si traduce, a livello politico, nell’arroccarsi in insensati localismi, senza badare ad uno sguardo d’insieme, all’apertura mentale, direi.
L’esempio macroscopico è proprio quest’Europa. Un continente di cinquecento milioni di abitanti, che con la sua storia, la sua tradizione, la sua identità cristiana, non dovrebbe avere paura di confrontarsi, nell’ambito di un’irreversibile globalizzazione, con gli Stati Uniti, la Russia, la Cina e gli altri Stati emergenti, primo fra tutti l’India. Ha invece il terrore di farlo, perchè la palude attanaglia le sue gambe e tutto il suo corpo, distrugge persino i neuroni del cervello, impedisce di sviluppare le facoltà cognitive, annienta le volontà. Per governare, ci si affida alle decisioni di Istituzioni finanziarie che mirano solo alla tutela di interessi consolidati, al profitto, senza badare ai servizi da offrire ai cittadini in generale e ai loro clienti. Certo, ci sono le norme che regolano questi meccanismi, ma esistono anche le virtù, che quasi sempre vengono non coltivate e ignorate.
Non vi è alcun dubbio, a mio parere, che questa situazione drammatica – lo dico da cattolico, apostolico, romano – è determinata dalla mancanza di fede. E’ la fede che fa cogliere all’uomo che percorre questa Terra, quali siano i valori (la Verità) da ricercare, quali siano gli esempi da dare (le virtù, le buone pratiche), le Istituzioni di cui dotarsi (in grado di governare non per usare il potere, ma per il bene e la pace di tutti).
Mi aveva molto colpito leggere, nel giugno scorso, una tua intervista al Foglio, nella quale, tra l’altro affermavi: “Tradizionalmente le compagnie assicurano la proprietà: le case, specie in Italia, e le auto. Ma il mondo moderno sarà sempre meno attaccato alla proprietà. Nelle auto, nelle grandi città ci si affiderà in misura crescente al trasporto pubblico e al car sharing; certo a condizione che funzionino. Quanto alla casa i giovani possono sempre meno permettersela. A ragione o torto le famiglie hanno investito i loro soldi nel mattone: ha funzionato per decenni, oggi il mercato immobiliare è fermo, e forse non solo per un fatto ciclico, ma per l’inizio della fine del ciclo stesso. Sarebbe forse più giusto investire nell’istruzione dei figli anziché nel tetto da lasciare in eredità; e guardare alla terza età per i cui problemi tutto il mondo moderno è impreparato. Dovremo sempre più assicurare i servizi, l’assistenza domestica grazie alle nuove tecnologie; e la salute, la cura degli anziani, le borse di studio dei nostri figli che girano il mondo. Come merci, brevetti, beni immateriali. Non è solo sharing economy, è un’altra economy. Ma è anche una ruota che gira: i Lloyd nacquero per questo. Non sappiamo di preciso che cosa accadrà con la Brexit, ma certo un’azienda italiana moderna, se si aprono spazi, deve esserci”.
E’ la sintesi, questa, di un business plain di un finanziere che sa guardare al mondo e sa individuare i suoi problemi e i bisogni delle persone. E’ per questa ragione – penso – che coloro che parlano ora di divergenza di visioni abbiano inteso farti fuori. Di certo, non avevano messo nel conto che tu non saresti andato via, buono e zitto, magari con una lauta liquidazione. Tu non sei una persona che va via. Sei una persona che ha coraggio. Che combatte. Una persona che ha fede. L’augurio che mi permetto di farti è di continuare a non mollare. Alla fine la verità trionfa sempre e i visionari sono i soli che conoscono i gorghi della palude, per tornare a riva, tra lo stupore di tutti. L’Italia vera, quella che palpita, quella che soffre, quella che spera in un futuro migliore per i suoi figli, quella che ancora si indigna e non si rassegna, ha bisogno di persone, di manager, di finanzieri come te, capaci di indicare la soluzione ai problemi e una via da percorrere.