Ratzinger, l’ecumenista illuminato
Il 2019 è stato un anno memorabile dell’attuale pontificato. Per due fatti, almeno. Il primo avvenne il 4 febbraio: durante il viaggio negli Emirati Arabi, al termine della Global Conference of Human Fraternity, davanti a 700 capi religiosi, Bergoglio firmò una dichiarazione insieme al Grande Imam di Al-Azhar, Ahmad Muhammad Ahmad al-Tayyib, massima autorità sunnita. Nel testo, un inno alla Fratellanza umana, che abbraccia tutti gli uomini, li unisce e li rende uguali. Il secondo fatto si verificò Il 7 ottobre: l’idolo pagano della Pachamama fu posto di fronte all’altare maggiore di San Pietro e poi portato in processione nella Sala del Sinodo. A quell’intronizzazione e a quella processione partecipò Bergoglio.
I presupposti di questi due fatti gravissimi – il secondo dei quali imporrebbe la riconsacrazione della Basilica di San Pietro – sono da ritrovare nello spirito e nella lettera del Concilio. Bergoglio non ha fatto altro che portare alle massime conseguenze quello che stabilì il Concilio: libertà religiosa, sinodalità e sincretismo religioso, che si collegano direttamente ai principi della Rivoluzione Francese: libertà, eguaglianza, fraternità. Principi di derivazione massonica, perseguiti attraverso l’ecumenismo dai Papi della Chiesa conciliare e postconciliare.
La nuova evangelizzazione tracciata da Paolo VI e da Giovanni Paolo II – nel cui contesto vanno collocati i pellegrinaggi al Palazzo di Vetro delle Nazioni Unite – ha condotto Benedetto XVI a ripetute visite a moschee e sinagoghe. La visita alla moschea blu di Istanbul del 30 novembre 2006, precedette quella ad Amman del 9 maggio 2009 e quella al Duomo della Roccia di Gerusalemme del 12 maggio dello stesso anno e fece seguito a quella di Giovanni Paolo II del 6 maggio 2001 alla moschea degli Omayyadi di Damasco, dove si trovano reliquie di San Giovanni Battista. Ratzinger entrò nella moschea blu levandosi le scarpe e nel corso della preghiera islamica si volse in direzione della Mecca, in consonanza col bacio al Corano di Giovanni Paolo II.
Una volta ancora venivano cancellati in maniera ignomignosa millequattrocento anni di resistenza all’Islam opposta dall’Europa cattolica e con essi la moltitudine di morti delle battaglie che dall’VIII secolo si prolungarono, passando per Poitiers, fino a Lepanto e Vienna, per non parlare dei due milioni di cattolici deportati come schiavi nei bagni, veri e propri lager, della Barberia dai pirati e corsari turco-barbareschi.
Il 6 dicembre 2006, commentando il suo viaggio apostolico in Turchia, Benedetto XVI ribadì la negazione tacita di Nostro Signore fatta già in moschea, cui fece seguire un appello a quel solidarismo che deve intercorrere tra le religioni, uno dei pilastri su cui si regge l’approccio ecumenico in vista di un’unione del genere umano. Disse: «Sostando qualche minuto in raccoglimento in quel luogo di preghiera, mi sono rivolto all’unico Signore del cielo e della terra, Padre misericordioso dell’intera umanità. Possano tutti i credenti riconoscersi sue creature e dare testimonianza di vera fraternità».
La reiterata, pubblica negazione del dogma trinitario proclamando uno stesso Dio per islamici, ebrei e cristiani, è stata dunque assunta in pieno anche da Benedetto XVI, in continuità con i suoi predecessori: «L’Ebraismo, il Cristianesimo e l’Islam credono nell’unico Dio, Creatore del cielo e della terra. Ne consegue che le tre religioni monoteiste sono chiamate a cooperare per il bene comune dell’umanità, servendo la causa della giustizia e della pace nel mondo» (Discorso di Benedetto XVI del 16.3.2006 ad una delegazione dell’American Jewish Committee in visita in Vaticano). Non è inutile, a questo proposito ricordare quanto Gesù afferma nel Vangelo della III Domenica di Quaresima: «Chi non è con me è contro di me, e chi non raccoglie con me disperde» (Mt 12, 30).
Commentano I Bastionatori, autori di una pubblicazione sul Concilio Vaticano II formata da due volumi, per un totale di 1.414 pagine: «Osserviamo che negare il Dio trinitario significa in realtà negare con Lui anche Gesù come Seconda Persona, oltrechè, ovviamente, anche lo Spirito Santo e quindi anche la Chiesa, di cui lo Spirito Santo è l’anima. La parola finale non ambigua che riflette fedelmente la linea sincretista tracciata dal Vaticano II è peraltro sopravvenuta con Bergoglio in chiusura dell’udienza concessa il 27 gennaio 2018 ai membri della Croce Rossa Italiana. Impartendo loro la “benedizione” egli pronunciò infatti le seguenti parole: Chiedo per questo su tutti voi la benedizione di Dio – Dio Padre di tutti noi, Padre di tutte le confessioni”».
Il sincretismo di Bergoglio, quindi, ha illustri e documentati precedenti. A questo proposito, devo a Radio Spada la lettura di uno stralcio di una conferenza di mons. Marcel Lefevre del primo settembre 1987: «Eminenza (Ratzinger), anche se ci concedeste un vescovo, anche se ci concedeste una certa autonomia in rapporto ai vescovi, anche se ci concedeste tutta la liturgia del 1962, se ci concedeste di continuare con i seminari e la Fraternità come facciamo adesso, noi non potremmo collaborare, è impossibile; perché noi lavoriamo in direzione diametralmente opposta: voi lavorate alla scristianizzazione della società, della persona umana, della Chiesa, noi lavoriamo alla cristianizzazione. Non ci si può intendere. Lei mi ha appena detto che la società non può essere cristiana».
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