Un cumulo di macerie
Con la complicità del cardinale Ratzinger, allora prefetto della Congregazione per la Dottrina della Fede, il 12 marzo del 2000, in mondovisione, Giovanni Paolo II chiese perdono di tutti i peccati della Chiesa, commessi dai tempi apostolici. Un mea culpa epocale al servizio dell’uomo e del mondo, nel solco di quanto affermato il 7 dicembre 1965 da Paolo VI, nell’ultima sessione pubblica del Concilio Vaticano II: «La religione del Dio che si è fatto Uomo, s’è incontrata con la religione (perché tale è) dell’Uomo che si fa Dio».
Quel Papa inventò una preghiera universale di riparazione: sette dignitari della Chiesa – cinque dei quali fra i principali esponenti del collegio cardinalizio, tra cui il futuro Benedetto XVI – si susseguirono in un’invocazione di perdono, alle quali rispose per sette volte Giovanni Paolo II con altrettanti impegni verso il mondo. Dopo ogni confessione e preghiera, ciascuno dei sette accese una luce di un candelabro a sette braccia che, come notò Marco Tosatti su La Stampa del giorno successivo, ricordava una menorah ebraica.
I sette peccati commessi della Chiesa nel corso dei secoli sarebbero stati questi:
- In generale, nel corso della storia.
- Per l’uso di metodi non evangelici nel servizio della fede (Inquisizione).
- Quelli che hanno causato la divisione tra i cristiani (in primo luogo gli anatemi e i rispettivi dogmi pronunciati in tutti i concilii, che vennero quindi condannati nella loro totalità).
- Contro il popolo ebraico.
- Contro l’amore, la pace, i diritti dei popoli, il rispetto delle culture e delle religioni.
- Quelli che hanno leso la dignità della donna e l’unità del genere umano.
- Quelli commessi nel campo dei diritti fondamentali della persona: abusi contro i bambini, emarginazione dei poveri, aborto, uso dei feti per la sperimentazione (Confessione che lascerebbe credere che la Chiesa preconciliare avesse favorito l’aborto, l’eutanasia, l’eugentica).
Dopo questa liturgia – il cui motto fu purificare la memoria – Giovanni Paolo II pronunciò cinque promesse sotto la forma del mai più:
- Mai più contraddizioni alla carità nel servizio della verità (ci si riferisce alla Santa Inquisizione). 2. Mai più gesti contro la comunione della Chiesa (scomuniche contro le eresie e gli scismi).
- Mai più gesti contro la comunione della Chiesa.
- Mai più offese verso qualsiasi popolo (ci si riferisce al rifiuto e alle condanne dell’ebraismo talmudico, del paganesimo e delle religioni non cristiane).
- Mai più ricorsi alla logica della violenza (le guerre di religione, in particolare quella contro l’Islam e in generale all’uso della forza in difesa della verità e della giustizia).
- Mai più discriminazioni, oppressioni, disprezzo dei poveri e degli ultimi (in particolare, le discriminazioni nei confronti delle donne e degli immigrati).
Commentano I Bastonatori, autori dei due volumi sul Concilio Vaticano II: «I riferimenti storici delle confessioni di colpa non sono illazioni, ma si riportano alla corale, univoca interpretazione data da tutta la stampa al documento preparatorio della “Commissione Teologica Internazionale” presieduta dal cardinale Ratzinger e a molteplici e specifici mea culpa particolari, oltre cento, pronunciati da Giovanni Paolo II dal giorno della sua elezione». Una liturgia di tal fatta, correlata al documento illustrativo che l’accompagnava, intitolato “Memoria e riconciliazione: la Chiesa e le colpe del passato”, redatto dalla Commissione Teologica Internazionale, presieduta dal cardinale Ratzinger, si risolveva in un giudizio su due millenni di storia della Chiesa. Un giudizio che investiva un triplice piano: storico, etico e teologico.
Scrisse un grande laico come Indro Montanelli, sulle colonne del Corriere della Sera il 9 marzo 2000, nell’articolo intitolato Interrogativi su un pontefice: « (…) Le parole con cui il Papa ha ieri annunziato la celebrazione penitenziale che terrà oggi in San Pietro hanno lasciato senza fiato anche un laico come me. Qualcosa avevo presagito, o creduto di presagire in un colloquio avuto qualche anno fa a cena con lui nel suo appartamento privato (…). Capii, o credetti di capire, che quel Papa intenso e inteso a frugare dentro se stesso, avrebbe lasciato dietro di sé un cumulo di macerie: quelle della struttura autoritaria e piramidale della Curia romana. Ora mi sembra di capire che quella intuizione vagamente catastrofica peccava, sì, ma per difetto: quelle che Papa Wojtyla si lascerà dietro non sono le macerie soltanto della Curia, ma della Chiesa, o almeno di quella che da duemila anni siamo abituati a considerare tale e ci portiamo, anche noi laici, nel sangue».
Chi ha fatto più danni alla Chiesa di Cristo e, di conseguenza, all’umanità? Bergoglio o Giovanni Paolo II, insieme al suo maggior collaboratore, il futuro Benedetto XVI, che con quei mea culpa e con quei mai più si sono eretti a giudici della Chiesa preconciliare, alla Chiesa di sempre, al Corpo Mistico di Cristo, a collocarsi al di sopra di una schiera infinita di Santi, di Papi, di Imperatori, di Re, di generazioni e generazioni di cristiani, di chierici, di semplici laici, che ritennero santa la lotta per la fede, che si batterono e morirono nelle guerre contro i saraceni e i turchi, che segnarono i loro mantelli e le loro bandiere con la Croce, innalzando al Cielo fervorose preghiere per la vittoria delle legioni cristiane? Per non parlare di coloro che combatterono le eresie. Il mea culpa che riguarda le scomuniche e gli anatemi pronunciati nei confronti degli eretici e degli scimatici si risolve in una condanna e quindi nel rinnegamento di tutti i concilii ecumenici a partire dal Niceno I del 325 dopo Cristo, che anatemizzò l’eresiarca Ario e dettò regole disciplinari sotto pena di scomunica, per finire al Vaticano I – l’ultimo prima del Vaticani II – interrotto il 20 settembre 1870 dall’occupazione militare di Roma e dall’abbattimento del potere temporale dei Papi da parte dell’esercito sabaudo, strumento della Massoneria internazionale.
Chi osserva, oggi, le macerie accumulate da Bergoglio, consideri che esse si aggiungono a quelle prodotte da altri, che gli hanno spianato la strada, facendo dolosamente credere di essere tutt’altro da lui. Sarà Dio a giudicare questi pontefici. A ciascuno di noi spetta il compito di esaminare i fatti per quello che sono, stando bene attenti a non confondere la papalatria con la fedeltà alla Chiesa fondata da Nostro Signore.
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