Uno scenario inedito per l’Italia
Saprà Matteo Salvini capitalizzare positivamente il consenso “virtuale” che riscontra nel Paese? Saprà vestire i “panni di statista”, di cui l’Italia ha bisogno? Saprà abbandonare la politica dei selfie e dei comizi sulle spiaggie per offrire al Paese un’opportunità di carattere storico?
Sono in molti a temere che la crisi di Governo aperta da Matteo Salvini si trasformi – dopo il passaggio parlamentare, in realtà non necessario, perchè basterebbe che Conte rassegnasse le dimissioni al Presidente della Repubblica – nella proposizione di un Governo tecnico, magari presieduto da Mario Draghi, simile a quello che nel 2011 portò al Governo Mario Monti, nominato senatore a vita da Giorgio Napolitano prima di ricevere l’incarico.
Il timore è comprensibile, ma non è fondato. Lo scenario è completamente diverso da quello di otto anni fa. Per almeno tre motivi. 1) Allora, il cosiddetto “Governo dei tecnici” fu sostenuto, nei fatti, da quasi l’intero schieramento dei partiti, uniti nei consegnare ai desiderata dell’Europa i destini del nostro Paese; 2) Prima della nomina di Monti non si era svolta una competizione elettorale, come invece è accaduto nel maggio scorso, quando la Lega ha raddoppiato il consenso ricevuto nel marzo 2018; 3) E’ molto difficile comprendere chi dovrebbe sostenere in Parlamento il Governo tecnico. Un’immaginaria alleanza PD-M5S, come vorrebbe Dario Franceschini? E’ poco credibile. Equivarrebbe a sancire la definitiva distruzione di queste due forze politiche, già lacerate al loro interno, da una parte dal peso che esercita Renzi nei confronti della leadership di Zingaretti, dall’altra dalla divisione tra una componente “movimentista”, che ha in Di Battista e Fico i suoi esponenti più significativi e una componente “governativa”, rappresentata da Di Maio.
Il Governo Conte ha terminato la sua esperienza con il voto delle europee, che ha sancito una situazione anomala: l’esistenza di un Governo che ha visto ribaltare il rapporto di forza al suo interno tra Lega e M5S. Questo è stato il “vulnus” che si è prodotto, non l’esistenza dei “no” dei Cinquestelle, che ci sono sempre stati, sin dall’inizio di quest’esperienza, sulle riforme necessarie al Paese. E’ in forza di quel risultato che Salvini avrebbe preso la sua decisione ed anche della consapevolezza che con quel risultato – se confermato – sarà lui a determinare l’esito dell’ancora più importante scadenza politica che si profila all’orizzonte: l’elezione del nuovo Presidente della Repubblica nel 2022, senza escludere che Mattarella, nel nuovo “scenario” che si determinerebbe, possa prendere la decisione di rimettere prima il suo mandato. Scrivo “avrebbe” perché dovrà essere certificata nella sede opportuna. Non basta un comizio sul litorale di una spiaggia.
Una decisione tardiva, che espone il Paese all’esercizio provvisorio della situazione finanziaria e ad ulteriori vessazioni da parte dell’Unione europea? Forse, ma questo non è il punto decisivo. Il rapporto con l’Europa è uno dei punti centrali da affrontare per governare questo Paese: i diritti, gli interessi e i bisogni dei suoi cittadini vengono prima di qualsiasi diktat europeo e da questo punto di vista, l’eventuale campagna elettorale che Salvini si appresta a svolgere dovrà essere molto chiara.
Quale Italia vuole Salvini? Un’Italia asservita all’Europa o un’Italia che decida del suo “destino” all’interno di una rivisitazione dei Trattati europei, che abbia come obiettivo quello di escludere l’intromissione dell’Europa sugli affari interni dei singoli Stati? Qual è la posizione di Salvini sulla moneta comune? Può continuare un’associazione privata come la BCE a determinare la politica economico-finanziaria di un intero continente? Quale rapporto deve avere l’Europa nel contesto della politica globale e con i singoli soggetti che ne fanno parte, gli Stati Uniti, la Russia e la Cina? Che ruolo deve esercitare l’Italia nell’ambito delle numerose crisi aperte nel Mediterraneo e quali iniziative deve intraprendere attraverso la sua politica estera?
Sul piano “interno”, si renderà conto Salvini ed opererà di conseguenza, per rompere l’assoggettamento che in questo Paese dura da 70 anni alla cultura di stampo post-comunista, che domina tutti i gangli nevralgici della vita sociale e civile?
Sono tutte domande alle quali Salvini dovrà rispondere e nelle risposte non potrà utilizzare la tecnica comunicativa che l’ha portato ai risultati fin qui raggiunti: i 140 caratteri dei tweet, i selfie o le dirette facebook. Dovrà approfondire. Proporre nelle sue liste un ceto politico in grado di governare il Paese, perché non c’è alcun dubbio che se elezioni dovessero davvero tenersi ad ottobre, Salvini non ha bisogno di proporre alcuna coalizione. La Lega può presentarsi da sola, come “Partito della Nazione”, in senso opposto all’idea che aveva – e forse ancora ha – Matteo Renzi. Poi, dopo i risultati elettorali, si potrà discutere di un’alleanza con Fratelli d’Italia di Giorgia Meloni. Politicamente, non conviene a nessuno dei due presentarsi uniti alle elezioni. Una postilla, merita il nuovo Movimento di Toti, Quagliariello e compagnia: spero che Salvini non voglia neanche prendere in considerazioni “patti” pre-elettorali di alcun tipo.
Ci sono, a mio avviso, rebus sic stantibus, le condizioni perché Salvini si candidi a Premier come espressione del “suo” Movimento politico. Perché questo accada, il leader della Lega avrà bisogno di effettuare un salto di qualità: non considerare più “suo” il Movimento che ha fatto crescere così tanto. Avrà bisogno di un atto di umiltà, di “fidarsi”, di inserire all’interno del Movimento le migliori esperienze intellettuali, civili, sociali, politiche, presenti nel Paese. “Aprire” alla cosiddetta “società civile”, non per imbarcare ceti politici riciclati, ma soggetti nuovi, che abbiano i connotati e la preparazione simili a quelli di un Alberto Bagnai o di Giulio Sapelli. Senza temere di essere “offuscato” da questo tipo di collaborazioni, ma al contrario consapevole che solo apporti di una certa levatura e preparazione possono restituire all’Italia la sua sovranità, la sua dignità e la sua libertà.
Da ultimo, è necessario rivolgere a Salvini un consiglio. I suoi richiami alla protezione della Santa Vergine Maria sull’Italia devono tradursi in un impegno diretto, non per ingraziarsi il voto cattolico, ma per effettuare, attraverso la sua azione politica, interventi che corrispondano a quel richiamo. Coerenza imporrebbe di prendere l’impegno di abrogare tutte quelle leggi che nel corso di questi anni hanno leso i principi dell’ordine naturale e divino e di impedire che altre leggi – quella sull’eutanasia e sulla liberalizzazione delle droghe, in particolare, che avrebbero certamente trovato la luce grazie all’accordo PD-M5S e frattaglie di sinistra – siano approvate in una prossima eventuale legislatura. La Santa Vergine Maria ha i Suoi diritti, che vanno rispettati, specialmente se La si invoca.